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Hatha Yoga, fluire nell’immobilità

L’immobilità degli asana è un invito a esplorare la vita che pulsa nel corpo.

Quando l’intenzione è retta e pura, non dobbiamo più curarci dei frutti dell’azione
[Bhagavad Gita]

La pratica di Hatha Yoga può conquistarti al primo approccio, oppure farti scappare a gambe levate esattamente per lo stesso motivo: la spiazzante immobilità del corpo durante gli asana.

Se si resiste al primo approccio è perché alla fine della lezione ci si sente inspiegabilmente bene, calmi, piacevolmente tonici e, se si va a dormire, si riposa pacifici per tutta la notte. Il metodo ha funzionato, la magia è avvenuta e ne siamo rimasti affascinati.

Può essere invece che, se ci si è purtroppo assuefatti a livelli di energia estremamente frenetici e incalzanti, corpo e mente vivano l’immobilità come costrizione frustrante e dolorosa. In quel caso lo yoga non fa per noi e fuggiamo verso il primo corso di Thai Boxing, Step o Gag.

Anche i praticanti più assidui tuttavia, rischiano di subire passivamente e stoicamente l’immobilità solo in virtù del magico beneficio che si riceve alla fine. 

Tutto questo accade perché molto spesso perdiamo di vista il fatto che lo Hatha Yoga non è semplicemente un’attività fisica, ma qualcosa di molto più complesso. Il mio maestro, Antonio Nuzzo, direbbe che si tratta di un processo che si rinnova ogni volta che ci mettiamo sul tappetino con l’atteggiamento giusto. La magia avviene quando la pratica diventa sempre più integrativa e ci lasciamo coinvolgere a più livelli: nel corpo, nella mente e nella sfera dell’energia pulsante che impariamo con stupore a percepire.

Lo yoga esiste dalla notte dei tempi.  

La mia riconoscenza è immensa verso tutti i Rishi, quegli omini selvatici e semi-nudi che per migliaia di anni anno rinunciato a una vita sociale per vivere totalmente a contatto con la natura e dedicarsi all’esplorazione della vita nel corpo e dei suoi segreti. Erano scienziati ante litteram.  Quello che hanno scoperto nell’immobilità e nel silenzio delle loro caverne è avvalorato oggi dalle scienze e dalle neuroscienze. Si tratta di un patrimonio immenso che mi commuove e intenerisce.  

Lo yoga è stato fiduciosamente tramandato da maestro ad allievo per millenni, le pratiche sono state raccolte e scritte solo in epoche più moderne con formule e testimonianze poco chiare, allusive e misteriose.  Questa modalità segreta ci fa comprendere quanto fossero preziosi questi segreti vitali e come l’apprendimento possa passare solo attraverso una pratica guidata, una conoscenza diretta del processo perché esperito e sentito in maniera totale.

IL FIL ROUGE DEL PROCESSO: LA RESPIRAZIONE

Questa ricerca non è una ricerca intellettuale, ma viene svolta proprio in asana, durante la pratica: ci mettiamo in posizione e proviamo a non lasciarci condizionare da un obbiettivo, a non voler superare nessun limite, ma restiamo lì, fermi e respiriamo, andiamo dal particolare al tutto, sentiamo che siamo un granello di polvere in un universo di stelle. Niente e tutto in un solo istante!
[Antonio Nuzzo – I DONI DELLO YOGA]

La chiave di volta di questo meraviglioso processo è la respirazione con la sua capacità di dinamizzare il corpo anche quando si trova nell’immobilità più apparente

Quello che genera in noi ogni atto respiratorio a livello fisiologico, meccanico, biochimico richiede volumi per essere descritto e approfondito. Il video che potete vedere cliccando sul link in calce, pur essendo in francese, mostra senza possibilità di dubbio alcuni degli effetti macroscopici di una respirazione completa su un corpo in posizione eretta.  

La sfida che ci chiede la pratica dell’immobilità è di fare un’esperienza diretta mettendoci in ascolto, notando il fluire del respiro nelle diverse posizioni, il suo concentrarsi, espandersi, bloccarsi in alcune zone del corpo. Questo approccio concreto ci consente di andare sempre più in profondità; quello che una determinata posizione ci trasmette oggi, non è lo stesso di quello che ci arriverà domani o un altro giorno. La tenuta paziente e fiduciosa delle posizioni nel tempo modifica progressivamente i nostri livelli di energia e la nostra capacità di gestire lo sforzo, l’equilibrio, le forze che agiscono di volta in volta su di noi, in un gioco continuo a cercare, scovare e lasciare andare le tensioni per spingere l’azione del respiro un po’ più in là, un po’ più nel profondo e allo stesso tempo per conquistare una percezione sempre più espansiva dell’energia e della vitalità che ci abita.

Inchiodati al tappetino in un asana abbiamo dunque una scelta fondamentale da fare: tenere duro, stoicamente, finché l’insegnante ci dice di mollare, in virtù dei benefici fisici che sappiamo arriveranno alla fine della lezione; oppure cominciare un cammino di ricerca molto personale, che ci sfida ad accomodarci nelle posizioni più complicate a lasciare andare l’idea di una forma perfetta per conquistare un sentire profondo che solo il nostro corpo meraviglioso può trasmetterci, grazie al respiro, nell’immobilità.

E’ come sceglieremo di praticare che farà la differenza.